domenica 18 settembre 2011

VELO INTEGRALE E SHARIA. LA NUOVA LIBIA SOGNATA DAI GRUPPI INTEGRALISTI

TRIPOLI — La clinica universitaria è vuota di studenti e piena di fervore. L'aula magna viene divisa in settori: da una parte gli uomini, dall'altra le donne, nascoste dal velo integrale, guanti e garza nera sugli occhi. Annuisconoo almeno sembraquando il relatore proclama al microfono che la sharia ha garantito l'equilibrio tra i sessi. I volontari distribuiscono i volantini preparati dal neo-movimento della gioventù islamica. Stampati verde su giallo, illustrano il decalogo per costruire la nuova Libia, quella che vorrebbero i duecento militanti seduti sulle gradinate.
L'organizzazione è nata a Bengasi, come la rivoluzione che ha deposto Muammar Gheddafi dopo quarantadue anni. «Non siamo un partito e non vogliamo diventarlo», ripetono i fondatori. Che discutono di democrazia e modelli di Stato — la Turchia guidata da Recep Tayyp Erdogan è considerata troppo laica — e apprezzano quell'articolo determinativo inserito nella Costituzione provvisoria: le norme islamiche sono «la» fonte principale della legislazione, invece dell'indistinto «una delle» che avrebbero preferito alcuni ministri del nuovo governo.
La scelta è approvata anche da Salwa el-Deghali, l'unica donna rimasta nel Consiglio nazionale di transizione: «La Libia è un Paese musulmano e le istituzioni della nazione verranno consolidate attorno all'islam moderato» (voglio vedere...) . Sei giorni fa, nel primo discorso dall'arrivo a Tripoli, il presidente Mustafa Abdul Jalil ha ripetuto che non accetterà nessuna «forma di ideologia estremista, né da destra né da sinistra».
I ribelli che hanno assaltato le ville dei figli di Gheddafi hanno requisito bottiglie di vodka e di whisky, quel Johnny Walker etichetta nera simbolo di status in tutto il Medio Oriente. Quello che era ammissibile per Saadi, Hannibal e gli altri fratelli non lo è nei negozi o nei ristoranti di Tripoli e Bengasi. La famiglia di regime — malgrado l'imponente moschea ancora in costruzione voluta da Safiya, la seconda moglie del Colonnelloconduceva una vita ben lontana dalle famiglie libiche, che restano molto tradizionaliste e conservatrici. I predicatori come Ali Sallabi non sentono il bisogno di discutere della sharia, perché sanno che è già accolta dalla società. «Questa è la rivoluzione del popolo — dice al quotidiano New York Times — e il popolo è musulmano. I laici possono partecipare alle elezioni, vedremo chi vince. Se una donna diventasse presidente, siamo pronti ad accettarlo» (sì, voglio vedere anche questo...) .
Sembra convinto della forza del partito che ha deciso di fondare. Non ha ancora un nome, ma già contende il potere a Mahmoud Jibril: il primo ministro — urla lo sceicco nei comizi e via satellite su Al Jazira — non può restare altri otto mesi. «Sta piazzando gli amici e i parenti nei posti chiave. Non vogliamo ritornare alla dittatura». Nel 2005 è stato Sallabi a negoziare con il regime un programma di riabilitazione per i miliziani fondamentalisti del Gruppo combattente islamico libico. Saif, il primogenito del Colonnello, si era accorto della sua influenza e aveva deciso di trattare con lui.
Il consiglio di transizione, sparpagliato in queste settimane tra la capitale e l'est del Paese, si riunisce oggi a Bengasi proprio per discutere delle pressioni che arrivano dalle formazioni islamiste. Jalil deve convivere con il potere armato di Abdel Hakim Belhaj, il veterano jihadista nominato governatore militare di Tripoli per acclamazione dei suoi miliziani. E con il potere ombra di Etilaf, uno dei gruppi religiosi dominanti in città. Agisce come una guida rivoluzionaria del popolo, semi-clandestina. All'inizio del mese ha appeso i suoi manifesti-proclami ai cancelli degli ospedali: «Entro sette giorni tutti gli uffici pubblici devono essere diretti da una persona decorosa». (Fonte Corsera)

1 commento:

loris r. ha detto...

Eppure dalle immagini della guerra, anche sotto Gheddafi le donne senza velo si contavano sulle dita di una mano, in una scuola la divisa femminile era compresa di velo.
Quindi il simbolo più evidente della religiosità esibita era un po' ovunque. Se tutte quelle donne coperte erano le cittadine di quello che doveva essere un regime laico (?), allora peggio di così non dovrebbe andare.
Saluti.