domenica 22 novembre 2009

"TRADURRE IN EGITTO I TESTI EBRAICI PER CONOSCERE LE TRAME DEL NEMICO"

Tempesta in vista, fra gli intellettuali in Egitto, dopo che la poetessa egiziana Iman Mersal ha permesso che uno dei suoi libri venisse pubblicato in ebraico (“Geografia alternativa”, tradotto da Sasson Somekh, per i tipi della Hakibbutz Hameuhad publishing house). Come può – ci si domanda – un qualunque autore egiziano superare questo limite, sfidare gli ordini dell’Associazione Scrittori e demolire le basi su cui viene condotta la battaglia contro la normalizzazione con Israele? Nell’ultimo round di questa pubblica diatriba è intervenuto lo scrittore e critico Jaber Asfour, direttore del Centro Nazionale Egiziano per la Traduzione (il titolo si riferisce alle sue dichiarazioni, ndr). Lo stesso istituto di Asfour è finito sotto accusa per la decisione di permettere che libri in ebraico venissero tradotti in arabo, sulla base di un accordo stipulato pochi mesi fa dal presidente egiziano Hosni Mubarak e dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, nei giorni in cui il ministro della cultura egiziano Farouk Hosny era in lizza per il posto di direttore generale dell’Unesco. Alla fine Hosny non è stato eletto, cosa per la quale non ha esitato ad accusare Israele (e non meglio precisate lobby israeliane). Ma il programma di traduzioni è rimasto in piedi. In un’intervista a un’importante rivista letteraria egiziana, “Akhbar Al Adab”, Asfour ha affrontato il concetto di “normalizzazione”. “Normalizzazione – ha detto – indica un atto dal quale chi lo commette ricava un vantaggio economico o spirituale. Questo non è accaduto nel caso di Mersal”. In altre parole, la poetessa non ha preso denaro per aver concesso che il suo libro venisse tradotto in ebraico. (Fonte: Liberali per Israele, 20/11)

Iman Mersal scrive prevalentemente sull’oppressione delle donne in Egitto, sulla sua infanzia e sulla sua vita degli immigrati.

(ndr: Egitto e Israele sono legati da un trattato di pace dal 1979)
È lo stesso argomento con cui Asfour ha difeso la sua convenzione per la traduzione di libri dall’ebraico: nell’intervista sottolinea il fatto di non aver firmato nessun accordo con case editrici israeliane, garantendo così “che il denaro pubblico egiziano non finisca in mani israeliane”. Le traduzioni in arabo, ha precisato, vengono invece fatte da ditte straniere a partire dall’inglese o dal francese. Se normalizzazione significa vantaggio economico, è stato chiesto ad Asfour, cos’è il “vantaggio spirituale”? Ha risposto: “Se ad esempio i giornali israeliani scrivono di te in modo favorevole”.“Ma questo non è un criterio – ha obiettato Mohammed Shair, l’intervistatore – Dopo tutto, se Ha’aretz domani dovesse scrivere bene di lei per quanto riguarda il suo ruolo culturale in Egitto, dovremmo allora accusarla di normalizzazione?”. “No, non è quello che penso – è stata la risposta di Asfour – Ma se avviene nel contesto di una cooperazione fra me e loro, allora sì che è normalizzazione”. Asfour ha poi tracciato una distinzione fra tradurre dall’ebraico all’arabo e tradurre dall’arabo in ebraico. “Dobbiamo conoscere il nemico – ha spiegato, a giustificazione delle traduzione in arabo di opere ebraiche – per capire i suoi punti forza e i suoi punti deboli, cosicché si possa sapere come pensa e che cosa trama contro di noi”. E nella direzione opposta? “Preferisco che le traduzioni in ebraico non vangano fatte col consenso dello scrittore. Se poi ci rubano la nostra letteratura, è un’altra faccenda”. Asfour perlomeno assolve da un peccato, chi è implicato nell’aborrita normalizzazione con Israele. Costui, dice, “non è necessariamente un traditore”. “Tuttavia – aggiunge – egli agisce contro il consenso nazionale, il quale considera la normalizzazione culturale come l’ultima arma che abbiamo per affrontare gli israeliani. Noi intellettuali abbiamo il diritto di dire ‘no’, finché non vi sarà una pace giusta. Ma se uno di noi vìola il consenso, noi non lo definiremo traditore”.Beh, è già qualcosa.

1 commento:

esperimento ha detto...

Più che tempesta, basterà, per il regime, per i Fratelli o per qualunque altro "consociato" eliminare la poetessa o ancora meglio eliminare il traduttore (come fu per quel povero giapponese, riguardo ai Versetti Satanici di Rushdie)...