sabato 10 ottobre 2009

UNA FEMMINISTA SOTTO IL VELO DELL' ISLAM...

Una femminista sotto il velo dell'Islam. «Sono una donna che ha le sue idee, che deve fare le sue scelte, vivere la sua vita. Come penso sia giusto per me, non per qualcun altro». Insomma, "Io sono mia". Lo dice con convinzione Majda Badaoui (la mamma di Johara e zia di Fatima dell'articolo precedente, mediatrice linguistica culturale che ha seguito la mamma di Sanaa durante le testimonianze, ndr), 38 anni, marocchina e musulmana di Rabat, in Friuli dal 1987. Eppure, porta il velo. Lei che, per vivere come era «giusto» per se stessa e non per altri, ha sbattuto la porta in faccia al marito, un friulano convertito, che voleva farsi l'harem (anche se il termine "harem" non indica ciò che pensiamo noi in Occidente, ma è la parola araba per indicare il "gineceo", la parte della casa riservata alle donne, ndr) . «Forse si aspettava una donna musulmana sottomessa». Ma non è il caso di Majda . Che non sforna pane arabo dalla mattina alla sera da perfetto "angelo del focolare" marocchino, anzi non ama proprio cucinare e, se può, ripiega sui surgelati come qualsiasi occidentale. Eppure, porta il velo. Che i lavori di casa «li faccio se ho voglia e se mi fa piacere farli, altrimenti no». Eppure, porta il velo. Che fa la mediatrice culturale ma sogna un futuro da operatrice in un centro antiviolenza per difendere le donne. Eppure, porta il velo. Uno schiaffo all'emancipazione femminile per molti. Ma non per lei. «Lo porto per scelta. Perché è un obbligo religioso del Corano, come lo sono le cinque preghiere al giorno e il mese di digiuno del Ramadan. Non mortifica la mia femminilità, non è un segno di sottomissione all'uomo o una forma di inferiorità. Non è che, perché metto il velo, questo cambi il mio modo di pensare o il mio carattere. Il cervello, sotto, c'è lo stesso» . Anzi, anche il suo "khimar", il suo velo sopra un cervello che funziona, è un po' "femminista". Comodo, già "preconfezionato", da infilare come una cuffia. «Perché io non ho tempo da perdere per agghindarmi». Majda il suo tempo lo dedica, invece, a fare corsi su corsi, perché non si stanca mai di imparare. «Per mio padre (ex presidente della Corte marziale di Rabat e giudice in Cassazione ndr) lo studio è la cosa più importante nella vita. I miei fratelli - siamo in sette - hanno frequentato l'università in Francia, come ha fatto lui. Io ho scelto l'Italia: mi sembrava più esotico». Ci è arrivata nell'87, prima su quindici concorrenti, con una borsa di studio dell'ambasciata italiana a Rabat per l'Università per stranieri di Siena. Dopo due mesi, destinazione Trieste, facoltà di farmacia. Doveva tornare in Marocco dopo la laurea, invece in Friuli c'è rimasta. Per amore. «Lui, che è udinese, studiava all'Università come me, si era convertito all'Islam a 19 anni. Stava preparando la tesi sulle scuole medioevali in Marocco. E doveva parlare della città di mia mamma». E, fra un capitolo e l'altro, arriva il matrimonio, celebrato prima a Roma, con rito musulmano, e poi a Udine. Quindi, i figli, Johara, di 11 anni, Bilal, «dal nome del primo muezzin dell'Islam», 7 anni, e Maryam, 5.

Lei lascia l'Università nel '90 («In famiglia sono la pecora nera: una sorella è medico, un'altra farmacista, un fratello architetto, un altro docente all'ateneo di Parigi...») per dedicarsi ai bambini, lui fa carriera sotto l'egida del Profeta, arrivando ai vertici della comunità musulmana locale e poi alla direzione del centro culturale islamico di Milano. «Ma poi sono iniziati i contrasti, di natura caratteriale. Lui era abituato dalla mamma italiana ad essere servito. Io facevo i lavori di casa, ma solo quando riuscivo. Questo era il conflitto fra noi: secondo lui dovevo fare sempre, secondo me dovevo fare "se volevo" fare. Era molto diverso». Un abisso. «Voleva decidere della mia vita, scegliere le persone con cui dovevo fare amicizia, i luoghi dove potevo andare... Mi vietava anche di uscire con le mie amiche». (Fonte: http://www.ecologiasociale.org/, 2002 )

Naturalmente le violenze contro ragazze musulmane che stanno con o hanno amici italiani non sono una novità: Amico italiano: picchiata http://www.geolocal.it/ .
E, a un certo punto Majda dice basta. «Lui aveva deciso di sposarsi con una seconda moglie. È previsto dalla mia religione, ma è previsto anche che la donna possa esprimere il suo parere. La prima moglie può imporre al marito di non risposarsi con una clausola prematrimoniale. Noi non l'avevamo fatta. Ma a me non stava bene lo stesso. Per me se un uomo ama una donna non può amarne un'altra in uno stesso momento. Quando mi ha detto del secondo matrimonio gli ho risposto: "Vuol dire che ti piace quell'altra. Allora basta. Per me è finita". E me ne sono andata». Il divorzio islamico arriva dopo tre mesi - potenza della religione musulmana - , «anche se per lo stato italiano siamo ancora soltanto separati da un anno e mezzo».
E lei, a Udine, si reinventa la vita dal nulla. «Ho iniziato a fare la mediatrice linguistica due anni fa, poi sono diventata anche mediatrice culturale e di comunità. Prendevo 40mila lire lorde all'ora. Ma non puoi vivere solo di questo. Soprattutto con un mutuo sulla casa. Così, faccio anche le pulizie per una ditta. Vita sociale? Nessuna: non ho tempo». La mattina sveglia alle sei per inforcare ramazza e strofinacci e, dopo poche ore, è già a scuola, per aiutare i "suoi" bambini nel difficile cammino dell'integrazione. «Cerco di alleggerire il primo impatto, facendo da tramite fra la scuola e i bambini. La maggior parte delle maestre è molto disponibile. Alle volte, però, ci sono anche quelle che preferirebbero mettere il piccolo marocchino fuori dalla classe e farlo seguire solo da me, perché fa fatica a tener dietro alle lezioni. Ma così non va: il bambino si sente isolato. I più piccoli non hanno problemi, dalle medie in su incominciano le difficoltà. Spesso non vengono accettati dai compagni di classe. Allora capita che le maestre mi dicano: "Bisogna parlare alla tal ragazza e dirle di cambiarsi più spesso e di mettersi il profumo". Non è un lavoro facile ma mi piace». Ma per Majda non ci sono mai cose facili. La vita è una sfida, ogni ostacolo un modo per rimettersi in gioco. «Adesso sto seguendo un corso di un'associazione che combatte la violenza contro le donne. Mi piacerebbe diventare un'operatrice antiviolenza. Dopo il tirocinio deciderò. Sono attirata da questi problemi. Le donne marocchine, anche se subiscono violenza non si ribellano, perché nel mio paese non vengono ascoltate. Lì l'uomo comanda da padrone e la donna è nulla, è uno schiavetto. Quando arrivano in Italia, trovano gente pronta ad aiutarle e prendono coraggio. Si sentono più libere e protette. Perché qui la legge funziona. Se in Marocco vanno dalla polizia a denunciare il marito violento nessuno le ascolta. Le separazioni vengono viste come una colpa delle donne. Se l'uomo divorzia vuol dire che la moglie non ha saputo tenerselo. Se racconti che un marito ha buttato fuori di casa sua moglie, ti dicono "significa che ha scoperto in lei qualcosa che non va". Il problema non è sentirselo dire da un uomo, ma dalle donne stesse. Io, dopo la separazione, me lo sono sentito dire. Manca la solidarietà al femminile». Ma la colpa, secondo Majda non è dell'Islam. Che, a sentire lei, è una religione quasi femminista. «I diritti che ha una donna islamica da sempre, le occidentali se li sognavano fino a poco tempo fa. Già nel 612 d.C. le donne musulmane avevano diritto al voto, all'istruzione, al lavoro, all'eredità, ad avere una proprietà. Le donne ai tempi del Profeta davano lezioni di religione agli uomini, combattevano insieme a loro, potevano scegliersi il proprio sposo e divorziare. Perché nel 2002 stanno chiuse in casa a sfornare dolci e cous cous? L'Islam non c'entra: questa è la mentalità araba tramandata di madre in figlia. Il risultato dell'ignoranza di una società patriarcale e maschilista in cui la donna viene educata a considerare la casa il suo regno e a restare chiusa fra quattro mura sotto il controllo continuo del marito. Ma io non ci sto. Non mi piace neppure cucinare. Vado avanti a cose veloci, spinaci e surgelati. Mi piace viaggiare, invece: Europa, Giordania, Egitto... E sempre con un libro in mano». E alla fine, lo dice. «Se sono femminista? Abbastanza. Voglio giustizia anche per le donne». E sorride. Sotto il velo.

9 commenti:

PensieroLiberale ha detto...

Le femministe italiche continuano a latitare.
E anche se in Italia donne musulmane vengono uccise dai familiari, loro preferiscono parlare delle gravi mancanze di rispetto del cavaliere nei confronti del gentil sesso.
Un aiuto alle donne con il velo non verrà dalle donne/femministe di questo paese.
Di tali questioni parlate solo tu e poche altre persone.
Mi raccomando non perdiamoci di vista ti leggo sempre con piacere.

Alessandra ha detto...

Sì, ma questa non è una femminista italica e atipica, direi, visto che considera il velo un obbligo... .
Con dolore ho iniziato a prendere atto della loro latitanza e devo fare uno sforzo per denuncuarla. Però se latitano, latitano, alla faccia del femminismo e magari criticano le donne arabe e/o musulmane in Italia che si occupano della situazione di molte loro sorelle. Grazie mille, ne avevo bisogno! :-)

Dolcelei ha detto...

Cara amica meno male che ci sono blog come il tuo. Ma le donne dove sono? Me lo chiedo anch'io, non occorre neanche essere femminista per combattere certe mentalità.
Sono tornata dopo mesi di assenza per motivi familiari.
Buona domenica ^_^

Alessandra ha detto...

Grazie a te, Dolcelei e bentornata! Spero sia tutto a posto, ora... .

Anonimo ha detto...

A me non dà affatto fastidio il, velo che copre i capelli: anche mia nonna lo portava sempre; il discorso è diverso per il burqa ...
Grandmere

Alessandra ha detto...

Anche quel velo è diverso dal velo di tua nonna, comunque basta per il momento parlare di veli. C'è altro d'interessante in quest'intervista! :-)

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