martedì 18 novembre 2008

ASSASSINIO DELLA POP STAR LIBANESE. A DEPORRE IL FIGLIO DI MUBARAK


Il caso di Suzy Tamim sarà dibattuto a porte chiuse dalla Corte del Cairo.

La cantante venne uccisa a luglio nel suo appartamento di Dubai. Le orrende ferite provocate da un bisturi.
Al processo si intrecciano amori, politica e fondi neri.


WASHINGTON – Troppi pettegolezzi. Troppi veleni. Troppi rischi di imbarazzare il Potere. Il processo per l'omicidio della cantante Suzy Tamim è una mina pronta a esplodere. È per questo che la Corte del Cairo ha stabilito che i giornali potranno pubblicare le informazioni diffuse (e controllate) dal tribunale ma non i dettagli del caso. Una mossa censoria in previsione di possibili testimonianze eccellenti. Alcuni avvocati hanno infatti chiesto di ascoltare Gamal Mubarak, figlio del presidente Hosni, uomo politico e amico del principale imputato, il ricco imprenditore Hisham Talaat Mustafa.
Quello dall'artista è un giallo con i risvolti dell'intrigo e i toni melodrammatici delle telenovela. Con le passioni tradite, le storie di letto, le questioni di soldi. Suzy Tamim, star libanese di 31 anni, viene uccisa a metà luglio nel suo appartamento di Dubai. Sul corpo le orrende ferite provocate da un bisturi affilato. Protagonista di una vita privata turbolenta – due matrimoni falliti -, tanti amanti, tensioni con la famiglia, Suzanne ha pagato un prezzo spropositato per le le sue scelte non felici. Ad ucciderla, secondo l'accusa, l'ex poliziotto egiziano Mahmoud El Sukkary che avrebbe agito su ordine del suo boss, il re del mattone e parlamentare, Mustafa. Un delitto ricompensato con due milioni di dollari. Un “contratto” conclusosi con l'omicidio ma anche la scoperta del complotto. El Sukkary, tornato in Egitto, viene preso mentre sta cercando di fuggire in Brasile. Il passo successivo porta i magistrati a indagare Mustafa, figura eccellente della nomenklatura e assai vicino alla presidenza. E' inevitabile che il caso accenda curiosità morbose. Lei, bellissima, cercava di rientrare sulla scena. ("Corsera", "Arabiyya")
Aveva inciso un nuovo album di canzoni, con videoclip, che è stato lanciato proprio in questi giorni. Un omaggio post-mortem. Lui, il nababbo, che pensava di comprare tutto e tutti. Sulla stampa si rincorrono le ricostruzioni. La cantante sarebbe stata assassinata perché aveva troncato la relazione con Mustafa e si era legata ad un ex pugile iracheno, Riad El Azzawi. Il miliardario aveva cercato di riconquistarla offrendole 50 milioni di dollari, ma davanti al rifiuto dell'affascinante libanese avrebbe deciso di punirla affidandosi al sicario El Sukkary. In alcuni messaggini recuperati dai telefonini degli imputati vi sarebbero le prove del piano. «La cosa migliore è spingerla fuori dalla finestra. Come è avvenuto per Ashraf Marwan», suggerisce Mustafa con un sms all'ex poliziotto alludendo alla misteriosa morte – avvenuta a Londra del 2007 – di una presunta spia egiziana al servizio del Mossad. Il killer replica: «Capo, non dimenticare di mandarmi il denaro». Certo, i soldi. In questa faccenda non sono secondari.
Dopo la prima udienza si è parlato molto del patrimonio di Suzy. C'è chi sosteneva che avesse sperperato gran parte dei suoi guadagni. Il primo marito, Adel Matouq, ha invece sostenuto che quando si era separata da lui la moglie si sarebbe impossessata di oltre 600 mila dollari. Spiccioli. Sì, perché la cantante – secondo un legale - avrebbe avuto un tesoro di 12 milioni di dollari in Svizzera. Soldi di Mustafa – dicono - che sarebbero stati portati fuori dall'Egitto dall'artista. Forse dei fondi neri che, tuonano gli avvocati, «appartengono al popolo egiziano e qui devono tornare». Per la Corte non è vita facile. La pressione popolare affinché si arrivi alla verità è enorme e i giudici devono dimostrare di non fermarsi davanti alla collusione tra potere e imprenditoria. Ma come uscirne quando il principale imputato ne è l'esempio vivente? Nel dubbio usano il bavaglio sperando che il dramma di Suzy non diventi un processo sulla corruzione.

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