giovedì 15 maggio 2008

RANIA DI GIORDANIA RACCONTA LA SUA SFIDA: "COSI' CAMBIAMO LA SOCIETA' PER LE DONNE E I BIMBI"

ROMA (14 maggio) - Conquista tutti, Rania di Giordania. Perfino gli internauti di YouTube, che per lei è diventata «una grande piattaforma per il dialogo». Bellissima ed elegante, diplomatica e moderna, colta e intelligente, dolce, sorridente, stupenda. È la Regina più popolare e amata al mondo, con le sue idee innovative e le strenue battaglie che conduce a favore delle donne, dei bambini, dei più deboli.Ama dal profondo l’Italia, perché ci si sente «a casa», grazie al «calore e all’ospitalità» della gente. E perché «abbiamo molti punti in comune», dice in questa intervista esclusiva con Il Messaggero. Nel ’95 ha dato vita alla Jordan River Foundation (JRF), un’Organizzazione non governativa senza fini di lucro, che ha «nel cuore» come ciascuno dei suoi 4 figli. È una parte di lei, della sua anima. «Volevo migliorare la vita della gente comune in Giordania, soprattutto quella delle donne e dei bambini», spiega. «Desideravo dare una mano a chi vuole avviare una piccola impresa, ma manca dei fondi necessari o di una minima pratica in materia contabile; alle madri che hanno la capacità di lavorare, ma non vogliono rinunciare alla cura dei figli; ai piccoli agricoltori che puntano a espandersi per aumentare i profitti. I risultati sono evidenti sotto il profilo umano, ma siamo anche riusciti a ripristinare e a tenere in vita alcune delle più preziose tradizioni culturali della Giordania, come la tessitura dei tappeti, la fabbricazione dei cesti o il ricamo».
Quali sono i fronti sui quali è più attiva la Fondazione, oggi come oggi?«La protezione dei diritti e dei bisogni dell’infanzia, con il nostro Child Safety Program; e il rafforzamento della posizione sociale di singoli individui e dei poteri delle comunità locali, attraverso il Comunity Empowerment Program».Che cosa ha significato, in Giordania, la sua battaglia contro gli abusi sui minori?«Prima che iniziassimo a lavorare con il Programma per la Sicurezza dell’Infanzia e denunciassimo gli abusi contro i bambini, questo era un tema tabù, qualcosa da nascondere, da tacere, e di cui vergognarsi. Si trattava di un atteggiamento dovuto in parte anche alla sacralità del nucleo familiare nel mondo arabo, che tradizionalmente risolve al proprio interno tutte le questioni che lo riguardano. Superare queste barriere, senza infrangerle, è diventata sempre più una sfida. Ero decisa a rimuovere la cultura della colpa e della vergogna, ad affrontare sul serio le cause di fondo del problema e fornire ai bambini e alle famiglie la possibilità di una vera riabilitazione. Oggi sono felice di poter dire che, dopo un lungo periodo di doloroso silenzio in Giordania, l’abuso contro i bambini viene denunciato apertamente ed ad alta voce». Concretamente, che cosa avete fatto per riuscire a cambiare la mentalità comune? Magari con l’aiuto di soggetti istituzionali diversi...«Negli ultimi 10 anni, la Jordan River Foundation ha lavorato con diverse altre istituzioni su due fronti principali: la riabilitazione e la prevenzione. E sono davvero fiera dei nostri progressi. Per esempio, nel 2000, la JRF ha fondato Dar Al-Aman, che significa “Casa di Sicurezza”: è il primo “santuario” del mondo arabo per bambini che abbiano subito abusi o privazioni. Abbiamo anche alimentato una coscienza collettiva a tutti i livelli, con spot sui media per gli adulti e spettacoli educativi con i burattini per i più piccoli. Abbiamo lavorato con Ong e comunità locali di tutto il Paese, per sensibilizzare genitori e insegnanti. E oggi siamo fieri del fatto che i nostri progetti pionieristici siano diventati dei modelli per il mondo arabo. La vera ricompensa viene dal sospiro di sollievo e dal sorriso gentile e innocente di un bambino cui sia stato restituito il diritto all’infanzia: cambiare la vita di una piccola creatura è quel che da valore a tutto il nostro impegno».Questo per quanto riguarda la tutela dell’infanzia. Ma la sua attività si concentra anche molto sulle donne e il lavoro, non è così?«Nel corso dei miei viaggi attraverso la Giordania ho incontrato, e continuo a incontrare, tante donne esperte e di talento che, pur volendo rimanere a casa per i figli e mariti, sentono di avere tempo ed energia per un lavoro part-time, anche per poter contribuire agli introiti familiari e avere così più voce nelle decisioni domestiche».È per questo che la JFR ha varato il Community Empowerment Program?«La premessa fondamentale per la Fondazione è di creare opportunità e far crescere il potere delle comunità attraverso progetti capaci di produrre rendite sostenibili. Oggi la JRF fornisce a migliaia di persone i mezzi necessari per sfruttare al massimo il proprio potenziale. Uno dei nostri primi progetti è stato il “Bani Hamida” (di cui abbiamo già parlato in uno dei primi post del nostro blog) che ha ripristinato la tessitura tradizionale in zone rurali della Giordania e che ora da lavoro a circa 530 donne che producono tappeti eccezionali, che arrivano in tutto il mondo con l’etichetta “Confezionato a mano con Orgoglio dalle Donne Beduine Giordane”. Ma ci rendevamo anche conto dell’esistenza di tante famiglie con piccole imprese che lottavano per andare oltre una produzione di sussistenza. E così, attraverso il CEP, abbiamo cercato di sostenerle con un’adeguata formazione o, quando necessario, con finanziamenti e attrezzature specifiche. In molti casi si sono formate delle cooperative, che hanno moltiplicato le possibilità di lavoro creando circoli virtuosi: ecco come il successo produce successo».I fondi necessari vengono anche dalla vendita dei prodotti artigianali. Si dice che lei, Maestà, abbia dei tappeti che ama particolarmente a casa sua...«Sì, è così. E sono belli come il giorno in cui li ho comprati. I materiali impiegati nella lavorazione dei cesti, dei tappeti e degli arredi sono di ottima qualità. I colori sono intensi e bellissimi, le lavorazioni e le rifiniture accurate. Poi c’è l’unicità di questi prodotti, un fattore che personalmente adoro: ogni cosa è fatta a mano nelle case delle donne, cosicché non ci sono mai due pezzi uguali. E c’è una storia personale dietro ogni oggetto: acquistarne uno significa aiutare una donna giordana che si sta destreggiando tra le esigenze della maternità e del matrimonio e il suo desiderio di ritagliarsi un angolo proprio, di sentirsi più forte per provvedere al futuro dei propri figli».L’aumento della disoccupazione è uno spettro per la Giordania, come per noi. Come vi muovete per vincere la sfida?«Con il 70 per cento della popolazione sotto i trent’anni, creare delle opportunità per i giovani è certamente una delle nostre sfide più pressanti. Servono 80 mila nuovi posti di lavoro l’anno soltanto per evitare che la disoccupazione cresca. La Fondazione sta creando numerose opportunità in tutta la Giordania, incoraggiando le donne più anziane a insegnare alle generazioni più giovani le tecniche della tessitura dei tappeti e a venderli in tutto il mondo, facilitando processi di produzione alimentare come le conserve, oppure associandoci con la Royal Society for the Conservation of Nature per lo sviluppo di progetti di eco-turismo».A proposito di ambiente, come affrontate il problema della carenza d’acqua?«È una sfida chiave, per il mio Paese. E per questo la JRF sta lavorando sodo alla conservazione delle risorse idriche, adottando misure che vanno dalla costruzione di una diga all’avvio di sistemi di irrigazione “goccia a goccia”, fino alla realizzazione di partnership con Ong internazionali dirette a verificare la possibilità di un’amministrazione più responsabile della risorsa acqua».Maestà, c’è partecipazione attiva alle vostre iniziative? Come reagisce la gente?«È innegabile che negli anni si sia realizzato un cambiamento di mentalità nel nostro popolo. Dal pensare che lo sviluppo dipenda unicamente dal Governo, al credere che il singolo individuo possa influire direttamente sui cambiamenti. Si è così arrivati ad avere fiducia nel fatto che persone con le stesse idee possano formare cooperative creando posti di lavoro, come nel fatto che le donne possano rimanere a casa e badare ai figli e, allo stesso tempo, dedicarsi all’artigianato per contribuire al bilancio familiare».Che progetti avete per il futuro?«Siamo indaffaratissimi! Continueremo a consolidare le organizzazioni comunitarie locali perché un maggior numero di poveri possa conquistare lentamente la propria indipendenza economica, e ad incoraggiare il settore privato a essere sempre più coinvolto. Dopo aver istituito la Family Support Line (Linea di Sostegno Familiare, ndr.) la JRF ha in programma di istituire un Family Justice Center (Centro per la Giustizia Familiare, ndr.), che accolga le vittime delle violenze in famiglia. Un team di professionisti si metterà a disposizione per confortare, consigliare, istruire e riabilitare».Maestà, recentemente le è stata conferita la cittadinanza onoraria di Milano e lei sa di essere molto amata dagli italiani...«Il sentimento è reciproco. È sempre un piacere, per me, venire in Italia, la verità è che mi sono sempre sentita come a casa. E ciò è dovuto al calore e all’ospitalità del popolo italiano. Ma anche ai molti elementi che le nostre società hanno in comune. Sono particolarmente fiera di come abbiamo lavorato insieme nel campo dell’istruzione, promuovendo scambi, facendo il massimo degli sforzi per la qualità delle nostre università e realizzando network di eccellenza. Perché mentre onoriamo il passato, i nostri due Paesi stanno abbracciando il futuro, con tutte le promesse e le opportunità che il mondo globale ha da offrire».

(Fonte: http://www.ilmessaggero.it/ e il sito di ACMID-DONNA).

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